Quo usque tandem…Storia di un eversivo

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Nel 63 a.C., anno del suo consolato, Cicerone dovette fronteggiare i progetti eversivi di Lucio Sergio Catilina, discendente da una famiglia aristocratica decaduta, arricchitosi in epoca sillana e indebitato per mantenere un tenore di vita elevato per le sue aspirazioni politiche. La sua campagna politica per le elezioni del 65 a.C. gli era costata una fortuna e all’ultimo momento la sua candidatura venne respinta per indegnità; nonostante questo seppe circondarsi di molti esponenti politici di primo piano o di scontenti delle varie fazioni.

Prosciolto dall’accusa di concussione, pensò di ricandidarsi al consolato nel 63 a.C., finanziato e sostenuto da Marco Licinio Crasso, al quale era collegato da un po’ di tempo un altro giovane emergente di nome Caio Giulio Cesare, di antica nobiltà ma con scarse risorse economiche. Sappiamo che anche questa candidatura non andò a buon fine ma Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto un programma elettorale che pensava lo avrebbe portato al successo politico nel 62 a.C. Il programma si basava sulla cancellazione dei debiti (novae tabulae) ed era rivolto non ai ceti bassi, ma agli aristocratici decaduti per i troppi debiti, per le campagne elettorali e le speculazioni sbagliate, per i coloni sillani che non avevano saputo sfruttare i terreni a loro assegnati e per i figli dei proscritti. Abbandonato dai sui sostenitori, Crasso e Cesare si erano ben visti dal sostenerlo, Catilina mise in moto un sistema di cospirazioni che mirava a sopprimere i consoli, a terrorizzare la città e ad impadronirsi del potere tramite la violenza.

Quando Cicerone rivelò le intenzioni di Catilina davanti al senato, questo votò il senatus consultum ultimum, un decreto di emergenza che dava pieni poteri ai consoli e con un attacco durissimo pronunziò l’8 e il 9 novembre, il 3 e il 5 dicembre le sue celebri Catilinarie. La I e la IV davanti al senato, la II e la III davanti al popolo. L’Arpinate si presenta così come il campione della legalità repubblicana e come difensore dell’ordine costituito.

“Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”    I Catilinaria

“Fino a quando abuserai della nostra pazienza?”

Questa prima orazione, prova matura dell’oratoria ciceroniana e modello di eloquenza giudiziaria e politica, costringerà Catilina ad allontanarsi da Roma.

Acquisite le prove scritte della congiura, tramite l’intercettazione di lettere che recavano i nomi dei congiurati, Cicerone fece arrestare cinque fra i capi della cospirazione e suggerì al senato, trascinato dall’ emergente Marco Porcio Catone, di far votare per la pena di morte; Cesare restò il solo ad insistere per il carcere a vita. Affrontato da lì a poco un esercito consolare vicino Pistoia, Catilina cadde valorosamente alla testa dei suoi.

Sventato il pericolo mortale e salvata la patria, Cicerone non esitò a farsi un vanto per tutta la vita del suo gesto eroico.

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