Compiti a casa si o no?

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I compiti a casa sono utili? È la domanda che si pongono genitori, insegnanti, pedagogisti. C’è chi ritiene che, in giusta misura e senza sovraccaricare troppo l’alunno, i compiti siano indispensabili per una formazione completa e chi invece li abolirebbe del tutto.

Ci sono degli esercizi da fare a casa che sono complementari al lavoro svolto in classe, per esempio ripassare le tabelline di matematica o rileggere dei testi visti con l’insegnante. I compiti sono uno strumento per riflettere sulla lezione affrontata al mattino, per porsi nuovi quesiti, sviluppare domande da rivolgere il giorno successivo alla maestra, ma soprattutto “plasmano” fin dalla giovane età il giusto metodo di studio.

Soprattutto nelle scuole medie studiare a casa da soli rende i ragazzi più autonomi, dà loro la possibilità di sperimentare diverse tecniche di memorizzazione fino a scoprire quella più adatta a sé, che sarà poi quella che verrà utilizzata in tutti gli anni di scuola superiore e, se il percorso dovesse proseguire, anche all’università.

Anche i difetti del compito a casa però sono da tenere in considerazione: porta via tempo alle altre attività del ragazzo, come lo sport e la musica e rende lo studio un obbligo e non un piacere. Inoltre i compiti non sono “democratici”: è vero che vengono assegnanti uguali a tutta la classe, ma gli studenti sono molto diversi tra loro. Un compito che per un ragazzo può risultare facilissimo e risolvibile in mezz’ora, per un altro può diventare un lavoro lungo, faticoso, e soprattutto pericolosamente frustrante.

Chi può contare sull’aiuto della famiglia inoltre, parte avvantaggiato.

L’insegnante non dovrebbe solo limitarsi ad assegnare i compiti ma indagare più in profondità su quali sono i metodi di studio adottati dai suoi alunni, per suggerire e correggere strategie a chi fa difficoltà. Allo stesso modo il ragazzo che ha trovato un metodo sicuro ed efficace potrebbe condividerlo in classe con i compagni, e si creerebbe un ambiente di collaborazione e solidarietà. Si chiama didattica cooperativa, ancora poco diffusa.

Dovrebbero infine cambiare i metodi di valutazione: basta ai criteri tradizionali, che premiano chi ha buona memoria e impara i concetti giusto per il tempo necessario all’interrogazione, ma cominciamo a premiare le capacità cognitive più evolute, come quella del problem solving.

 

 

 

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