Divisa sì o divisa no?

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Rigore della divisa scolastica o abiti che lascino libera la creatività? Le opinioni al riguardo sono contrapposte e discordanti.

Solo qualche giorno fa è stato presentato un ricorso al Tar contro l’obbligo imposto da un istituto comprensivo di Lecce di uniformare il vestiario degli alunni. Il tribunale amministrativo ha sentenziato l’illegittimità dell’obbligo dell’uniforme, perché penalizzerebbe gli alunni che non possono permettersela.

Ma in molti non la pensano così: a Milano, le persone intervistate da Tgcom dopo il lancio della notizia, si sono dette favorevoli alla divisa, che significherebbe uguaglianza tra i bambini e fermerebbe il desiderio di correre dietro alle griffe e ai grandi marchi per sentirsi più belli e più apprezzati, discriminando chi non può permetterseli.

Della stessa idea anche la Francia, che sta orientando la sua organizzazione scolastica verso questa scelta: «In alcuni casi può essere utile», ha detto il ministro dell’istruzione, Jean-Michel Blanquer, «è una questione di eguaglianza tra bambini. Oggi, ahimè, le marche dei vestiti contano ben troppo, con fenomeni un po’ sciocchi di materialismo. Evidentemente questo non è conforme a ciò che potremmo auspicare per la scuola della Repubblica. L’uniforme può essere una risposta. Certo, non ne faccio l’alfa e l’omega di una politica educativa, ma in alcuni casi può essere utile».

Per Blanquer, la soluzione ideale è lasciare l’iniziativa agli enti locali, come avvenuto di recente a Provins, nel Dipartimento di Seine-et-Marne, dove questo fine settimana è stato indetto un referendum nel quale l’uso della divisa scolastica è stato approvato dal 62,4% dei votanti.

Cosa succederà in futuro in Italia invece, in merito all’argomento, è ancora mistero.

 

 

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